Riflettiamo
Debolezza psichica del giovane d'oggi...
Continuiamo la nostra riflessione sulla debolezza del giovane d'oggi...

Panoramica che emerge dalle ricerche sui giovani
Che cosa dicono i genitori
I genitori della generazione attuale fanno grandi sforzi per non romperla mai con i figli. Spesso si illudono di mantenere così la famiglia unita, anche quando i figli sono cresciuti. Così non si sentono invecchiati e cercano di essere ancora utili ma dall'interno di una piattaforma relazionale sbagliata perché la famiglia con figli adulti non può più rimanere sugli standard della famiglia con i figli piccoli o in età evolutiva. Il compito di genitori sarebbe finito ma essi non lo accettano: vorrebbero un equilibrio che dia “un colpo al cerchio e uno alla botte” per non turbare la tranquillità. I genitori vogliono bene di solito ai figli, ma non sempre comprendono che il bene che essi vogliono non coincide con il bene vero dei figli.
Nessuno forse ha mai spiegato a loro che la struttura familiare protratta oltre i tempi di “allevamento” spesso coincide con quella sindrome di ritardo della quale ho parlato sopra. In questo modo i genitori contribuiscono senza saperlo (e il non saperlo li scusa) a mantenere i figli in “parcheggio” e contribuiscono non poco alla loro fragilità e debolezza; li fanno sentire incapaci di fare quello che essi stessi hanno pur fatto in qualche modo, quando si sono distaccarsi dalla famiglia di origine per formare una famiglia propria.
Questa sindrome viene chiamata “la famiglia lunga” e i sociologi la vedono come “il modello predominante, anche se in questi ultimissimi anni è possibile individuare alcuni timidi segnali di cambiamento”[1] perché i giovani, verso i 30 anni, tendono ad andare a convivere con dei partner (non sempre di sesso opposto) o a vivere da soli[2].
In un Dossier sulla famiglia italiana curato da Giuseppe Marino - che rielabora una ricerca dell’IRP (Istituto Ricerche sulla Popolazione diretto dal prof. Enrico Pugliese) – viene sintetizzata così questa dinamica:
Una cosa è sicura: non saranno i genitori ad aprire la porta per fare uscire i figli. Il dato emergente dal sondaggio dell’Irp, che è stato esteso anche ad un campione di genitori, è schiacciante. Il 59% dei padri ritiene che la permanenza dei figli in casa non comporta grandi problemi, e il loro allontanamento non porterebbe alcun vantaggio apprezzabile. Tra le madri la percentuale è comunque alta (51%) ma una su quattro ammette che diminuirebbe il lavoro in casa e i disagi a proprio carico. Figli e genitori concordano su quali sarebbero gli svantaggi del distacco: perdita sul piano affettivo, solitudine, malinconia per la lontananza. Per i genitori si aggiunge in più il timore di perdere il controllo sui figli (….). Tanto che il momento del distacco non viene preparato in anticipo: è un tema del quale in metà delle famiglie non se ne parla mai. Nel 29% se ne parla raramente…[3]

Dalla pratica clinica di consultorio si rileva che i genitori hanno dimenticato i momenti di stress che essi stessi hanno vissuto quando sono usciti di casa, e si sono messi a coppia per fare una famiglia nuova. In molti casi emergono addirittura drammi familiari sofferti (poi a poco a poco rientrati) con notevoli sensi di ansietà e di colpa per l’abbandono del “nido” di origine. L’uscita di famiglia dei loro figli attiva quelle ansietà e per questo i genitori tendono a non parlarne e a non sollecitare un problema che dentro di loro è bruciante. I relativi genitori (nonni dei ragazzi che dovrebbero uscire) sono a volte ancora vivi e ancora sulla breccia per “rivendicare” diritti all'affetto e torti veri o presenti ricevuti allora… Queste problematiche si assommano a quelle dei figli e contribuiscono a confondere ulteriormente un’identificazione per tanti altri aspetti difficoltosa e incompleta. La fragilità di questi momenti è risaputa anche dagli psichiatri e dai medici di famiglia, i quali assistono, in occasione di decisioni importanti dei loro pazienti, all'aumentare dei disturbi funzionali e delle ansietà.
La dinamica che si scatena all'interno degli individui e nelle famiglie è abbastanza semplice ad esprimersi: si rompe un equilibrio che dovrebbe già essere stato sostituito da una struttura nuova.
Le situazioni di cambiamento (come tutti i momenti importanti della vita) esigerebbero una vera e propria “ristrutturazione” da entrambe le parti ma questa, di solito, manca e allora si vive con grande ansietà ciò che dovrebbe essere una dinamica normale di crescita.
Da parte dei genitori si dovrebbe ragionare così: i figli sono grandi, hanno pressoché finito gli studi, hanno iniziato a lavorare, è legge della vita che escano di casa e facciano la loro strada e che noi (io, nel caso di genitori senza più il partner) pensiamo a noi stessi, adattandoci, se mai ci sarà necessità, a sostenere le decisioni dei figli con aiuti economici o con aiuti nella gestione di casa.
I figli dovrebbero invece esprimersi pressappoco così: ora sono grande, sono capace di fare da solo, è sbagliato rimanere in casa ancora a disturbare l’equilibrio dei miei. Mi metto per conto mio dato che ho iniziato a lavorare e ho finito gli studi e ho un/una partner che mi vuole bene. Potrò sempre contare sui miei, ma devo fare da solo perché la vita è mia.
Purtroppo assai spesso le problematiche dei genitori (che chiamerò arcaiche perché si riferiscono a molti anni prima) sono all’origine delle decisioni sbagliate o affrettate dei figli, e sono causa di separazioni, di sofferenze, di liti ecc. Sembra che i genitori stessi abbiano messo le basi psicologiche per poter dire ai figli (in realtà dal punto di vista psicoanalitico lo dovrebbero dire a sé stessi!): hai visto? Te lo avevamo detto: tu non sei capace di fare da solo e se non ci siamo noi non sei in grado di gestirti… Cosa sarà di te quando non ci saremo più? Come se i figli fossero handicappati quanto alle cose della vita!
[1] GARELLI F., PALMONARI A., SCIOLLA L., La socializzazione flessibile ecc., oc., 27.
[2] Per un inserimento in questa problematica vedi: ZANATTA A.L., Le nuove famiglie, Il Mulino, Bologna,1997. La monografia porta un curioso sottotitolo: convivere senza matrimonio, risposarsi dopo un divorzio, decidere di vivere da soli, oggi. Felicità e rischi delle nuove scelte di vita.
[3] MARINO G., Dossier famiglia, in: Famiglia Cristiana, n. 18, maggio 2003, 50-51.